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Web Blog delle Libertà

29 aprile 2008

Milano ricorda il genocidio degli armeni

Nel 2005 si sono svolte a Yerevan, in Armenia, le Giornate dell'amicizia italo-armena, sotto l'alto patrocinio del presidente della Repubblica armena e del presidente della Repubblica italiana: un evento che ha inteso valorizzare i rapporti tra due nazioni storicamente unite da solidi vincoli di amicizia e di scambio culturale. Il successo straordinario dell'evento è all'origine del progetto di promuovere nel 2007 e nel 2008 le Giornate della cultura armena in Italia.
Il Comune di Milano, per iniziativa del Consiglio di Zona 3, ha sostenuto l'organizzazione di un ciclo di manifestazioni ed eventi culturali promossi dall'Unione degli Armeni in Italia e dal Consolato Onorario di Armenia a Milano. L'iniziativa, che si è tenuta dall'11 al 23 aprile, ha coinvolto anche il Politecnico di Milano, che ha ospitato una straordinaria mostra fotografica sull'archiettura armena, realizzata dal Centro Studi e Documentazione della cultura armena con il supporto e il patrocinio dell'Unesco e del ministero degli Affari Esteri italiano. L'archietettura armena, caratterizzata soprattutto dalla bellezza severa delle millenarie chiese, contribuisce a definire una cultura dalle chiare e forti tradizioni. Un popolo, quello armeno, sopravvissuto al genocidio e alle mire espansionistiche turche, al comunismo sovietico e ancora oggi resiste e cerca di crescere nel benessere e nella libertà in un contesto geopolitico complesso - l'Armenia è terra di confine tra aree di influenza americana e russa.
Il genocidio del 1915-23 e il difficile quanto ricercato rapporto con la Turchia sono stati il filo conduttore di queste interessanti giornate. Presso la Sala del Consiglio della Zona di Milano dove risiede il maggior numero di famiglie di origine armena che vivono nel capoluogo lombardo è stato possibile visitare la mostra fotografica di Armin T. Wegner sugli armeni in Anatolia. Riproduzioni delle fotografie scattate nel deserto di Der es Zor dall'ufficiale tedesco, testimone oculare di quella pulizia etnica che ha portato alla morte più di un milione e mezzo di persone. Wegner, membro del servizio sanitario tedesco al seguito del generale von Der Goltz, raccolse materiale fotografico, lettere, appunti e inviò tutto in Germania e negli Stati Uniti. A seguito della sua attività venne espulso dalla Turchia e richiamato in patria nel 1916. Fu un intellettuale libero e coraggioso, dottore in Diritto, scrittore e poeta, si battè in difesa delle minoranze perseguitate, arrivando anche a scrivere ad Hitler condannando i comportamenti antiebraici del regime. Arrestato e torturato dalla Gestapo, venne in seguito liberato e dal 1936 si trasferì in Italia, dove risiederà fino alla morte, nel 1978.
La pianificazione del genocidio avvenne tra il dicembre del 1914 e il febbraio del 1915 nell'ambito del primo conflitto mondiale, con l'aiuto di consiglieri tedeschi - essendo allora la Germania alleata della Turchia. La popolazione armena, che guardava all'Occidente per ragioni culturali e religiose, rappresentava un ostacolo agli occhi della classe politica turca, che vedeva nel nazionalismo estremo un antidoto contro l'irreversibile decadenza politica ed economica dell'impero ottomano. Le deportazioni ebbero inizio nel gennaio 1915. Il 24 aprile tutti i notabili armeni di Costantinopoli vennero massacrati. Il piano per lo sterminio proseguì attraverso l'eliminazione dei militari di etnia armena, precedentemente arruolati coattivamente. In seguito fu la popolazione nel suo complesso ad essere eliminata e rastrellata a partire dai propri villaggi; coloro che non erano stati uccisi vennero deportati in aree desertiche a morire di malattie e di stenti. Spesso la morte arrivò prima ad opera degli stessi soldati turchi «di scorta» o per mano di gruppi di predoni di etnia curda lasciati agire impunemente, spesso sobillati dal governo turco.
Il genocidio degli armeni è stato ufficialmente riconosciuto dal Tribunale Permanente dei Popoli il 16 aprile 1984, dalla Commissione dell'Onu per i Diritti dell'uomo il 29 agosto 1985, dal parlamento europeo il 18 giugno 1987. Come è noto, la Turchia non riconosce ancora le sue colpe passate, così come difficile e pericoloso permane ogni tentativo, da parte di alcuni uomini di cultura di questo paese, di operare una seria discussione sui fatti avvenuti. Ragioni legate al gioco delle alleanze internazionali non ha ancora consentito di esercitare nei confronti della Turchia le adeguate pressioni affinchè si compia quel processo di presa di coscienza collettiva, così come avvenuto in Germania per quanto concerne la Shoah. Un segnale molto positivo è arrivato di recente dal principale alleato in ambito Nato, gli Usa. La Commissione Esteri del Senato statunitense si è infatti chiaramente espressa per il riconoscimento del genocidio.

12 marzo 2008

A Milano il Pd attacca la Chiesa sulla legge 194

(Articolo dell'11 marzo 2008)
La disperata impresa veltroniana di evitare una pesantissima sconfitta è condotta attraverso una serie di artifici e trucchetti da prestigiatore per dare all'opinione pubblica una sensazione di rottura con il presente, caratterizzato dal fallimentare governo Prodi. Molti commentatori hanno ad esempio sottolineato come l'ex sindaco di Roma abbia a parole dichiarato di voler presentarsi da solo alle elezioni, finendo invece per imbarcare Di Pietro e i Radicali per accrescere il numero dei potenziali elettori. Tale decisione, a differenza di altri stratagemmi come la scopiazzatura del programma del centrodestra e la scelta di candidati da album delle figurine, non è tuttavia dettata da mere valutazioni numeriche ma, soprattutto, valoriali. Entrambe le formazioni politiche rappresentano contenuti ed idee che sono ancora ben presenti nel campo postcomunista.
Di Pietro è il simbolo della cultura giustizialista. Alleato del Pd, ma non inglobato in esso, consente a Veltroni di continuare a mostrare ai potenziali nuovi elettori il volto buonista del suo partito, l'immagine del movimento moderato e centrista. I Radicali sono stati invece inseriti nel Pd attraverso una operazione che potremmo chiamare di «acquisto di un brand», di un simbolo storico che possa evitare al Pd l'emorragia dell'elettorato laicista a vantaggio della Sinistra Arcobaleno dopo la mancata approvazione dei Dico. In sostanza, il Partito Radicale è protagonista dell'anteprima dei saldi di primavera: 9 deputati e quattro soldi di rimborsi elettorali per abbeverarsi alla corte di Veltroni dopo tanti scioperi della sete.
La cultura anticlericale dei radicali pervade la sinistra postcomunista italiana, diffusa anche nelle file dei suoi militanti e della sua classe politica, che non sempre riescono a nasconderla. Emblematico un episodio accaduto a Milano alcuni giorni fa. In occasione di una seduta di Consiglio di Zona 3 il Partito Democratico ha deciso di dare il parere favorevole ad una mozione a sostegno della legge 194 presentata dai radicali, in cui si definisce la Chiesa Cattolica «prigioniera di una grave forma di bulimia fondamentalista» che ha l'obiettivo di cancellare la legge vigente. Nessun riferimento invece al tema, tanto caro alla teodem Binetti, della piena attuazione della legge sull'interruzione volontaria di gravidanza.
L'episodio menzionato, seppur grave, rappresenta una situazione locale ma pur sempre significativa di qualcosa che si sta deteriorando nel rapporto tra postcomunisti e cattolici nel centrosinistra. La sinistra pura non è mai stata maggioranza in Italia, per questo ha dovuto ricercare convergenze con gli orfani della Dc risparmiati da Mani Pulite. Nacque l'Ulivo, che era una federazione di forze politiche e non un partito vero e proprio come invece è il Pd. Nel partito di Veltroni il compromesso culturale al ribasso conduce e condurrà ad un'esistenza più travagliata ed esalterà, per contrasto, la scelta del Popolo della Libertà di porre l'accento, nella propria Carta dei Valori, sull'identità cristiana del nostro paese.

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26 febbraio 2008

Popolo della Libertà... e del Federalismo

Alcuni giorni fa è stato siglato l'accordo politico tra il Popolo della Libertà e il Movimento per l'Autonomia fondato dal siciliano Raffaele Lombardo nel 2005. Grazie all'intesa raggiunta, sia a livello locale che nazionale, non dovrebbero esserci difficoltà a vincere le elezioni regionali in Sicilia e, allo stesso modo, ottenere un maggior numero di eletti al Senato, dove vige l'insidia del premio di maggioranza su base regionale. Tuttavia sarebbe parziale attribuire soltanto un valore elettorale alla rinnovata alleanza con l'Mpa, che alle scorse politiche corse, con un unico simbolo, assieme alla Lega Nord di Bossi. La forza di questa scelta riguarda anche aspetti di tipo strategico e programmatico.
Occorre ricordare che l'Mpa nacque dopo una scissione dall'Udc, volta a recuperare un vero rapporto con il territorio, per sostenere gli interessi locali secondo quei principi di autonomia e di identità che erano stati alla base della nascita della Lega nel nord del paese. Entrambe le forze politiche nascono come risposta alla crisi dei partiti centristi nazionali. La Lega Nord è stata la risposta politica più credibile alla crisi della Democrazia Cristiana - crisi politica prima ancora che giudiziaria. Ciò è tuttora particolarmente evidente in Veneto, dove vi fu una Dc molto forte e ora vi è una Lega particolarmente rappresentativa. Il partito di Casini, quello di Mastella e l'ultimo nato della Rosa Bianca rappresentano la coda di una cometa ormai tramontata sull'orizzonte della politica italiana. Da un punto di vista puramente tattico, l'alleanza tra Pdl e Mpa rende molto più difficile l'operazione nostalgica legata al tentativo di creare una forza centrista e anti-bipolare. Raffaele Lombardo rappresenta un polo di attrazione per la classe dirigente centrista che non vuole essere tagliata fuori dalla politica che conta, cioè quella che governa. Per questo l'Udc siciliano appoggerà il centrodestra alle elezioni regionali - Casini non può che subire lo scacco del Cavaliere se non vuole rischiare di perdere prematuramente il pezzo principale del suo partito.
La novità più importante, come dicevamo, è tuttavia di tipo strategico e di progetto per l'Italia di domani. Per la prima volta un rappresentante di una forza politica territoriale è candidato a governare una Regione. Questo è il compimento del disegno politico di una nuova Italia più attenta alle istanze dei cittadini, il riconoscimento delle diversità e delle peculiarità locali nel quadro dell'unita nazionale. La rivoluzione portata da Berlusconi in politica è stata quella di trasformare i programmi in impegni concreti, in contratti con gli italiani. Se trasliamo questo concetto a livello locale, arriviamo al federalismo. Infatti il federalismo, in particolar modo quello fiscale, rappresenta il riconoscimento del principio di responsabilità in politica. I governanti locali amministrano la ricchezza prodotta dal territorio e di ciò che ne faranno risponderanno direttamente, senza più alibi, senza poter più giocare al rimbalzo delle competenze tra Stato e Regioni. Il venturo governo Berlusconi potrà pertanto rappresentare il compimento della ormai ventennale transizione politico-istituzionale italiana. Se il prossimo tentativo di riforma della Costituzione andrà in porto, e se conterrà il federalismo, sarà definitivamente messo un sigillo sul passato e aperta la finestra sul futuro.

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29 gennaio 2008

Unione in panne anche a Milano

Napoli è sommersa dalla spazzatura e dalla vergogna a causa di una classe dirigente che in più di un decennio ha fatto solo promesse decidendo sempre di non decidere. Paralizzata da interessi economici non sempre cristallini e da divisioni interne di natura ideologica che hanno alimentato irrazionali paure ambientaliste, questa sinistra è diventata vittima del mostro di demagogia che aveva creato. Ma a pagare sono i cittadini. Il defunto e non compianto governo Prodi aveva chiesto aiuto alle Regioni per rimediare all'incapacità del centrosinistra bassoliniano parlando di «solidarietà nazionale». Il buonismo inconcludente è nel Dna della sinistra italiana - basti pensare alle politiche dell'accoglienza dove nulla viene chiesto agli stranieri e nulla di concreto viene dato, costringendoli di fatto a vivere spesso nella povertà e in condizioni igienico-sanitarie disumane. Sul tema della sicurezza è stato sollevato un gran polverone dopo l'uccisione di una donna romana per mano di un cittadino rom. Veltroni, per paura di veder compromessa l'immagine personale come sindaco di Roma e leader del Pd, ha chiesto un intervento del governo. Poi tutto si è concluso nella farsa di un decreto legge scritto volutamente in maniera erronea in modo tale da essere affossato sul nascere. Questo sempre a causa delle profonde ed inconciliabili divisioni nell'ammucchiata dell'ex Unione.
Poniamoci a questo punto un quesito: che cosa significa essere solidali con i campani durante questa emergenza? Di certo non significa promettere di risolvere tutto in 24 ore, come aveva irresponsabilmente dichiarato l'ex presidente del Consiglio, trasformando i soldati in netturbini. La solidarietà che i napoletani si aspettano non è fatta di frasi da cerimonia, di false promesse e di lacrime di coccodrillo. La solidarietà è vera se si accompagna alla serietà dei comportamenti e alla volontà reale di voltare pagina. Bene, la sinistra tale serietà non l'ha dimostrata nemmeno in questa circostanza. Un primo segnale necessario - ma non sufficiente - sarebbe stato infatti quello delle dimissioni di Bassolino per manifesta incapacità a governare l'emergenza rifiuti. Persino con la tragedia campana ancora in atto la politica dello struzzo ha continuato ad imperversare, con partiti che hanno difeso le rendite di posizione attraverso la politica dei veti, senza pensare all'interesse generale.
In questo scenario, la recente cronaca politica milanese porta alla ribalta due episodi accaduti in Consiglio provinciale: lo scontro sulla realizzazione del secondo termovalorizzatore di Milano e la realizzazione della Tangenziale Est Esterna. Il capoluogo lombardo ha bisogno di un secondo inceneritore, pena il rischio di vivere la catastrofe napoletana. Nonostante ciò, la sinistra che governa il palazzo della Provincia è profondamente divisa sull'argomento. Pochi giorni fa la Regione, come riportato da Il Giornale, ha di fatto bocciato l'assurdo piano dei rifiuti elaborato dalla sinistra per le sue «ambiguità nella scelta degli impianti di termovalorizzazione», ma anche per gli «errori tecnici nella stima di crescita dei rifiuti», per l'«indeterminatezza del destino dei flussi di rifiuti» e per le «analisi economico-finanziarie». In riposta al parere della Regione (che per legge ha l'ultima parola sulla gestione dei rifiuti, in quanto i piani provinciali devono essere in linea con quello regionale) il presidente della Provincia ha dovuto annullare la seduta di Consiglio già programmata a causa dei forti contrasti interni, nell'incapacità di dare una risposta in merito ai rilievi avanzati. Il fatto è che la Cosa Rossa (Verdi, Rifondazione, Comunisti Italiani e Sinistra Democratica) è contraria alla realizzazione di un nuovo temovalorizzatore per la capitale del Nord.
Altra questione, solita sinistra: sempre in Consiglio provinciale è stato affrontato l'argomento riguardante il finanziamento per la costruzione della Tangenziale Est Esterna, infrastruttura fondamentale per migliorare la mobilità nell'hinterland orientale di Milano. Solamente grazie all'ordine del giorno presentato da Forza Italia è stato possibile garantire l'impegno per la realizzazione dell'opera, visto che Verdi, Rifondazione e Sinistra Democratica sono contrari.
La Provincia di Milano, secondo il quotidiano La Repubblica, è a rischio elezioni anticipate. Tale preoccupazione non è per nulla infondata, perché il sistema delle alleanze riproduce esattamente in scala locale quello che è imploso a Roma. Inoltre, come nel caso del governo nazionale, le divisioni sono tali da far pensare ad una soluzione drastica per non trascinarsi inutilmente alla scadenza naturale del 2009.

08 dicembre 2007

La Provincia di Milano compra casa ai Rom

Sembra ormai finito il tempo in cui il presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati, giocava a fare lo sceriffo in stile Cofferati, cavalcando il malcontento dell'opinione pubblica nei confronti dell'invasione dei Rom rumeni. In quei giorni, nemmeno tanto lontani, rimproverava al governo di non aver applicato la moratoria nei confronti della Romania. Ora, invece, l'ex sindaco di Sesto San Giovanni si deve inchinare ai diktat dell'estrema sinistra pur di continuare a rimanere in sella. Situazione fotocopia di ciò che è avvenuto quasi contemporaneamente in ambito nazionale, dove, per volere del ministro Ferrero e della cosiddetta «Cosa Rossa», Prodi e Amato hanno trasformato il decreto legge sulla sicurezza, nato per volontà veltroniana dopo l'omicidio di Giovanna Reggiani, in una farsa. Anzi - peggio - in un provvedimento controproducente che indebolisce la legge Bossi-Fini, come ha giustamente dichiarato l'ex ministro Castelli in occasione della trasmissione Otto e mezzo di giovedì 6 dicembre. Le procedure di espulsione non saranno più affidate ai giudice di pace, ma conferite alla magistratura ordinaria, già oberata da migliaia di processi arretrati. Inoltre la Direttiva europea in fatto di immigrazione di cittadini comunitari viene disattesa: non si potranno allontanare cittadini comunitari se gravano troppo sulle strutture sociali dello Stato.
Il Consiglio provinciale di Milano è riuscito a fare anche peggio del governo Prodi. Infatti martedì 4 dicembre ha deliberato l'acquisto di alcuni appartamenti siti in via Varanini 27 a Milano: 1.404.000 euro di soldi pubblici dati ad una ditta di Sesto San Giovanni, proprietaria degli alloggi. Questo provvedimento affonda le radici in una storia datata 2005, quando 35 zingari Rom iniziarono ad essere ospitati per un «periodo provvisorio di 6 mesi» a seguito dello smantellamento, per iniziativa del Comune di Milano amministrato da Gabriele Albertini, del campo nomadi abusivo di via Capo Rizzuto (dove avevano trovato asilo gli stupratori di una studentessa ventitreenne). Per questo improvvisato residence per nomadi divenuti stanziali, il contratto stipulato indicava 32 mila euro per un periodo di 3+3 mesi. Quel periodo provvisorio, come spesso accade nel nostro Paese, è divenuto, grazie alla sinistra, lungo 3 anni. Anzi, siamo per così dire alla «fase B». La sinistra che governa Palazzo Isimbardi ha infatti deciso di non ascoltare i cittadini residenti nella zona di via Varanini, che fin da subito avevano denunciato i problemi legati alla presenza dei Rom, con ricadute sulla sicurezza soprattutto per quanto concerne gli anziani. Non solo ha deciso di andare avanti, ma ha addirittura proceduto all'acquisto degli alloggi con l'incredibile motivazione di non voler continuare a pagare l'oneroso affitto. Alloggi che saranno gestiti dalla Casa della Carità, che dal 2005 si occupa del tum-over di inquilini Rom, per un non ben specificato progetto di «inclusione sociale».
La decisone della Provincia di Milano non rappresenta soltanto un gesto di profonda ingiustizia nei confronti degli italiani (e degli stranieri) che lavorano onestamente per pagarsi l'affitto o il mutuo della propria abitazione, ma può essere valutata anche come un atto che favorisce la violazione della Direttiva europea 2004/83/Ce votata all'unanimità da tutti i Paesi. Tale Direttiva afferma che i cittadini comunitari che non possono dimostrare autonomia di sussistenza, dopo tre mesi, devono essere espulsi. E ciò per non gravare sull'assistenza dei Paesi Ue ospitanti. L'attuale sinistra, sia che governi a livello nazionale che a livello locale, dimostra un comportamento irresponsabile riguardo al tema fondamentale della sicurezza dei cittadini, finendo per prendere in giro gli italiani e rischiando in questo modo di alimentare un clima di intolleranza che finisce per ritorcersi nei confronti degli immigrati onesti, facendo di tutta un'erba un fascio.

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21 novembre 2007

Racconto da un gazebo milanese

(Articolo del 20/11/07)
Aderisco a Forza Italia dal 1995 e da allora ho partecipato con immutato entusiasmo a tutte le iniziative di mobilitazione a cui sono stato chiamato a dare il mio contributo. Ciò nonostante, posso affermare di non aver mai vissuto nulla di paragonabile a quanto accaduto nel fine settimana appena trascorso. Quando il presidente Berlusconi diede l'annuncio della mobilitazione per chiedere le immediate elezioni in caso di caduta del governo Prodi, ponendosi l'ambizioso obiettivo di raccogliere 5 milioni di firme, non nascondo di aver ritenuto tale traguardo difficilmente raggiungibile, soprattutto dopo l'esito della votazione al Senato sulla Finanziaria. Non era follia immaginare che i cittadini, desiderosi di veder cadere uno dei peggiori governi della storia repubblicana, avrebbero potuto vivere sentimenti di delusione che, a loro volta, avrebbero potuto tradursi in una minore partecipazione all'iniziativa. Sono bastati invece i primi raggi di sole di una fredda mattinata di novembre per capire che questo fine settimana non lo dimenticherò mai.
Venerdì 16 novembre. Sono le ore 9.30. Assieme ad alcuni amici abbiamo appena ritirato il materiale dalla sede regionale di Forza Italia di viale Monza. Il nostro compito è quello di presidiare piazza Lima, il nostro gazebo dovrà unirsi agli altri due che sono già dislocati sull'asse del rinomato corso Buenos Aires, primaria via commerciale milanese. Non è la prima volta che gestisco un gazebo in questa zona, la piazza non è molto grande e per questo motivo occorre usare una piccola struttura che andrà montata e smontata ogni giorno. Prendiamo il materiale dall'auto, trasportiamo tutto in piazza e cominciamo ad allestire il tavolo e a montare la struttura metallica del gazebo. Sono passati pochi secondi e un signore anziano si avvicina chiedendomi: «Si firma qui per mandare a casa Prodi?». Rispondo che questa manifestazione serve proprio per ottenere lo scioglimento delle Camere nel momento in cui il governo dovesse cadere; per ridare la parola agli elettori. Chiedo quindi agli amici di sostituirmi nel lavoro di allestimento e mi accingo a registrare la prima firma della giornata. Era bastato un semplice tavolino bianco sguarnito di ogni cosa, comprese le bandiere di partito, a richiamare quel gentile signore che, con ogni evidenza, era arrivato prima di noi e ci stava aspettando.
L'episodio non rimane isolato e presto si forma un gruppetto di cittadini attorno a noi, che siamo ancora alle prese con l'allestimento del presidio. Prendono il giornale di Forza Italia e chiedono quando cadrà il governo, dicono che non è più possibile andare avanti in questo modo. Le donne e gli anziani sono, come spesso accade, i più attenti alle questioni inerenti il bilancio famigliare e infatti denunciano la difficoltà nel far quadrare i conti «mentre quelli al governo pensano alle loro poltrone». Molti insistono sul tema della sicurezza, dicendoci che torneranno più tardi coi documenti in quanto non si fidano a portarli sempre con loro per paura di essere scippati. Una signora dall'aspetto gentile, uscita dal portone di un palazzo distante pochi metri dal gazebo, dopo aver firmato ci ringrazia per il nostro lavoro. Nei giorni a seguire tornerà, come anche altre persone, a trovarci, chiedendo a che punto siamo con la raccolta delle adesioni.
Durante il week end le persone saranno così tante che non dovremo nemmeno richiamare l'attenzione dei passanti. I fogli per le adesioni si moltiplicano sui nostri tavoli (nel frattempo abbiamo dovuto persino chiedere ad un bar di prestarci due tavolini) e si formano delle piccole file di giovani, donne, lavoratori, anziani. Tutti vogliono firmare. Dobbiamo persino dire di no a vari gruppi di ragazzi non ancora maggiorenni, che comunque ringraziamo regalando una biro recante la scritta www.governoacasa.org. I giovani e i giovanissimi mostrano di apprezzare l'impegno di Berlusconi e di Forza Italia nella difesa del loro futuro. Sono molti anche gli stranieri che vogliono mandare a casa Prodi; alcuni di loro si avvicinano un po' timidamente e noi li incoraggiamo scambiando due chiacchiere. Firmano tutti perché vogliono vivere in un'Italia sicura ed accogliente allo stesso tempo. Tanti anche gli elettori degli altri partiti del centrodestra e i delusi del centrosinistra. Diverse persone ci portano anche dei moduli con le firme raccolte tra i propri amici. Nei due giorni a seguire il flusso di persone cresce esponenzialmente, costringendoci a chiamare altri amici e conoscenti a darci una mano. Il fast food dall'altra parte della strada diventa l'unico luogo possibile per mangiare un boccone nei pochi minuti a disposizione.
Siamo arrivati a domenica sera, sono le 18 circa e vedo concentrasi un cero numero di poliziotti al bordo della piazza. Dopo pochi minuti vedo arrivare a piedi Silvio Berlusconi con la sua scorta. Evidentemente ha deciso di visitare tutti i gazebo di corso Buenos Aires. Nel frattempo mi sono avvicinato per invitarlo a venire al tavolo delle firme e immediatamente si forma una folla attorno a noi. Berlusconi ci dice di aver appena annunciato in piazza San Babila che Forza Italia si scioglie per confluire nel grande partito del Popolo delle Libertà. Ringrazia i cittadini per le firme. Una persona gli porge il documento di identità per farselo autografare. Tutti lo fotografano, appare molto felice e rilassato. Forse nemmeno il presidente si aspettava una risposta di questo genere da parte dei cittadini.
Alla fine della giornata sono stanco e raffreddato, ma soddisfatto per la consapevolezza di aver vissuto giorni che passeranno certamente alla storia. Alla fine della giornata saranno 8 milioni gli avvisi di sfratto degli italiani al fallimentare governo della sinistra. Mai, nella storia della Repubblica, si era vista una mobilitazione popolare di queste dimensioni.

31 ottobre 2007

Milano: la sinistra contro l'Expo in chiave no global

(Articolo del 30/11/07)

Milano è stata rigenerata dal lavoro di 9 anni compiuto da Gabriele Albertini. In questo periodo grandi cambiamenti sono avvenuti: il restauro del Teatro alla Scala, la costruzione dei depuratori, la nuova gigantesca Fiera di Rho-Pero, la riqualificazione di aree industriali dismesse con la nascita di moderni quartieri residenziali, parchi e giardini creati dal nulla o rimessi a nuovo ecc.
La sfida che il Sindaco Moratti si è posto nel suo primo mandato è quella di portare l'evento dell'Expo 2015 nel capoluogo lombardo, facendo si che la città assuma un ruolo ancora più forte di leadership italiana nell'economia, rilanciando l'intera nazione a livello mondiale. L'esposizione universale è infatti un'occasione per sviluppare progetti e temi che coinvolgono il patrimonio culturale, scientifico, di conoscenza, di tradizioni e di esperienza di tutte le Regioni italiane. Attraverso questa manifestazione Milano diventerà la porta per il Paese, un volano per il turismo nazionale. Economicamente parlando le cifre legate all'Expo sono enormi. L'aggiudicazione della manifestazione internazionale si tradurrebbe in un giro di affari da 3,7 miliardi. Senza contare i 4,1 miliardi di euro in investimenti legati a fondi forniti dal Governo, dagli enti locali e dai privati pronti per essere impiegati nel ridisegno della viabilità dell'intera Lombardia: autostrade e ferrovie. Comune e Regione Lombardia sono fortemente compatte nel voler raggiungere il traguardo, anche il cadaverico Governo Prodi non vuol far mancare il suo appoggio. Ciò nonostante è proprio a sinistra, come sempre, che si fanno sentire voci discordanti attorno al tema dello sviluppo del Nord e di conseguenza dell'Italia.
La sinistra radicale, galassia che va dai partiti neocomunisti ai verdi, fino ai no global, passando per i centri sociali, si oppone alla candidatura di Milano per accogliere l'importante evento. Negli ultimi giorni sono state organizzate manifestazioni in concomitanza con la visita dei delegati del Bureau international des expositions. La lotta contro l'Expo può considerarsi come la battaglia delle battaglie, ciò che rappresenta concentra in se tutti i temi legati all'antiglobalizzazione. Sono gli stessi autodefinitesi «No Expo», riunitisi in comitato, a spiegare sul loro sito internet come l'esposizione universale «sarà un affare enorme, un grande evento commerciale simbolo dell'economia globalizzata, e del prevalere dei mercati sulla politica e la società». L'occasione per la «realizzazione del Tav».
Questa dottrina no global finisce inevitabilmente, spesso volutamente, per fondersi con l'umano timore per il cambiamento. Il nuovo comunismo svuotato dall'ideologia sopravvive sfruttando le paure e l'ignoranza delle persone. Sopravvive persino nelle istituzioni maggiormente coinvolte nel portare a casa l'appuntamento del 2015. in seno al Consiglio provinciale di Milano, autorevoli esponenti della sinistra hanno aderito al Comitato No Expo. Tutto ciò senza che la sinistra riformista abbia avuto il coraggio di condannare con forza questi comportamenti negativi per l'immagine italiana. Le medesime contraddizioni le ritroviamo nel Governo Prodi, incapace di qualsiasi riforma, di qualsiasi cambiamento che si possa tradurre in maggiore competitività per il Paese. Un governo che non governa, perchè non compie scelte. Non le può compiere perchè sorretto da forze politiche disomogenee culturalmente prima ancora che politicamente. Se Milano si aggiudicherà l'Expo 2015 sarà merito della CdL, che ha sostenuto fin da subito, senza defezioni, il Sindaco Moratti in questa affascinante sfida.

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